venerdì 29 agosto 2014

Trebinje - Lasciate ogni speranza voi ch'intrate

Salutamo Dubrovnik e la Croazia e se ributtamo verso er centro. Direzione Trebinje, Repubblica Srpska, regione autonoma della Bosnia e Erzegovina. Alla stazione degli auto arriva un catorcio sgangherato che scoppietta come er sidecar ne Gli Aristogatti.
Più che n’autobus è un vano de qualche metro cubo collegato a quattro rote e pitturato alla volemose bene co npo’ de giallo e blu.

Arrivederci Europa. Er viaggio dura poco e noi arrivamo alla stazione de Trebinje freschi come du rose ma co qualche petalo in meno lasciato la sera prima in Croazia.
Più che a na stazione però qua stamo a no spiazzale, anfatti nce sta na bijetteria o un punto informazioni nell’arco de centro chilometri. Appiccicato all’entrata de sto spiazzale c’è sta solo un cartello cogli orari de tutti l’auti. Scritto coll’alfabeto cirillico. Fermamo ncoatto antico de sti pizzi e je chiedemo se è bosniaco e se ce po' aiutà. Primo errore, qua stamo nello stato della Bosnia e Erzegovina ma la regione è la Repubblica Srpska, a maggioranza serba e con uno statuto autonomo.
No! Sono serbo. Ce imbruttisce ma poi je viè da ride e ce aiuta a decifrà sti geroglifici balcanici. Ce indica cor dito, sbattendoce in faccia l’ascella da coatto antico che d’estate bazzica lo Zion, la città do dovemo annà pe pijà l’auto che poi ce porterà ner nord der Montenegro.

Hvala. Grazie zi se vedemo ar Pincio colla machina modificata quando torno a Roma.

Co Scuzzi se addentramo nella quieta cittadina de Trebinje. C’avemo n’indirizzo. Obala Mića Ljubibratića, ostello Harambaša. Su internet ce sta na descrizione de sto posto che pare er paradiso dei viaggiatori fiji de fiori co zaino in spalla. Ma er paradiso esiste pe davero? E st’ostello?

Iniziamo a chiede informazioni. La gente ce sballottà a destra e a sinistra finché non arrivamo a Obala Luke Vukalovića. Fuocherello. Capimo che Obala vordì lungofiume e qui essendocene solo uno de fiume non dovremmo sta lontani da sto paradiso. Ma ner paradiso ce stanno i fiumi?

Obala de qua, Obala de là. Sta Mica Ljubibratića nessuno sa ndo sta. Solo Luke Vukalovića conoscono. Er fuocherello inizia a scotta'. Non staremmo mica vicino all'inferno?

Tutti ce dicono: Obala è questa. Ma noi ne cercamo un'altra. Come se un bosniaco a Piazza de Spagna cercasse Piazza der Popolo e noi je dicessimo: questa è na Piazza!

Percorremo tutto er fiume. Uno che pare uscito dalla serie The Soprano ce consijà de guadà er fiume. Poesse che sta Mica Ljubibratića sta sull’altra sponda. Ma pe guadà sto fiume dovemo fa' lo slalom tra le alghe, fa' l’equilibristi su dei massi, combatte la corrente, schivà le risa dei presenti e sopportà er peso de du zaini a capoccia. Ao a dimonio con occhi di bragia, noi ar paradiso dei backpacker dovemo annà, qua ce stai a fa’ attraversa er fiume Acheronte!

Desistemo. Scegliemo er lungofiume come campobase. Acchittamo un bivacco e lasciamo i pesanti zaini. Er paradiso deve esse raggiunto a ogni costo. Scuzzi perlustrà le campagne e le paludi fino a che er fiume non diventa n’acquitrino. Torna perdente. Parto io. Tra palazzi co slogan serbi, turisti ignari, locali che manco sanno come se chiamano me imbarco in una scarpinata lungofiume alla ricerca de st’ostello. Dopo dieci minuti de camminata arrivo a nbaretto e je chiedo do se trova sta via.
Ce stai adesso, è questa. Me fa er padrone. Praticamente a sto paese solo chi abita o lavora a na via conosce er nome. Mo io non pretendo che ve chiamate tutti Google Mapsić ma mannaggia l’alfabeto cirillico, in tutta Trebinje sete ventimila abitanti e ce stanno solo du vie che se chiamano Obala, n’è difficile regà. Pure i Beatles c’hanno fatto la canzone. Obalì Obalà life goes on!

Ma n’è finita qui. La strada per il paradiso è ancora in salita. Questo sa come se chiama la via ma nun sa er numero civico. Dice che poesse che er numero che sto a cercà io sta più verso sinistra. Me imbarco. Nartri venti minuti in mezzo alla macchia. Supero anche er famoso ponte de Trebinje, meno famoso del suo cugino di Mostar. Alla fine arrivo a sta mezza catapecchia. Nce sta nessuno. De fori alla porta ce stanno na quindicina de cassette de cipolle. I vicini de casa me fanno capì in un serbo-bosniaco mimato che Nikola, er padrone dello stabile, se sta a fa’ er bagno ar fiume come Tom Sawyer. E che sicuramente non tornerà prima der tramonto. Bella la vita nella Repubblica autonoma der Missouri dei Balcani.

L’ostello, se così lo volemo chiamà, sembra deserto. Forse è vero: ner paradiso nce sta nessuno. Se uno vole npo’ de compagnia deve decide tra la calca dell’inferno e le villette bilocali der purgatorio. Torno da Scuzzi. So tre ore che stamo a scapoccià pe sta sistemazione. Decidemo de peccà. Pijamo na stanza doppia privata. A n’albergo. Tv via cavo, aria condizionata, bagno privato, lenzuola candide. Diciassette euro a capoccia. Vizio capitale der viaggiatore. Stamo nell’inferno der backpacker. Lasciate ogni speranza voi che intrate.

Noi lasciamo l’aria condizionata spenta e decidemo de concedese un riposo, nelle fiamme calde de st’albergo luciferino.
Cullati tra sti materassi peccaminosi riacquistiamo energie. Siamo pronti pe fa’ du passi.

Di lì a poco incontreremo in città un diavolo. Per la precisione un diavolo della cinepresa balcanica. E capiremo che in viaggio si è quasi sempre in paradiso, pure se er paradiso poesse che nun esiste…

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