domenica 31 agosto 2014

Breaking Bed - L'invenzione della tradizione, Kusturica e l'antico vaso del Montenegro.

È lui o non è lui?
- Non è lui, sembra troppo magro.
- Ma mi nonna dice che la televisione ingrassa. Er bianco e la televisione.
- Deve esse lui, stamo nei Balcani.
- Stamo nei Balcani? Ma che te quando rientri in Italia becchi Roberto Baggio così pe strada? E poi stamo a Trebinje che a confronto Campobasso pare Rio de Janeiro.
- No aspè dai è lui pefforza. Guarda quelli che se so' seduti mo ar tavolo suo. Du fricchettoni colla barba non curata cor computerino de ultima generazione. Guarda guarda come scrivono. Saranno mica du sceneggiatori?
- Dai forse è lui. Alla fine pure lui pare mezzo fricchettone e tre fricchettoni seduti al tavolino der ristorante più costoso de Trebinje possono esse solo tre artisti che se lo possono permette. Annamo a dije quarcosa! 
Scuzzi, io e Emir
Questo è er karma che c'ha ripagato. Er karma de Osijek, in Croazia, quando c'avevano dato le chiavi dell'ostello che stava sopra ar pub e noi c'avevamo le chiavi der pub e er pub era chiuso ar pubblico. E noi prima de anna' a dormi' semo passati davanti al bancone pieno de whisky e liquori vari e se potevamo fa er bagno dentro na marea de alcool ma nun avemo arzato un gomito e semo annati a nanna sobri colla gola secca de tanto perigrinare. Questo è er karma che c'ha fatto opta' pe nartro salto in Bosnia invece de anna' diretti in Montenegro. Er karma che c'ha fatto sceglie sta sperduta cittadina dei Balcani.
Er karma che s'è ripresentato colle sembianze de Emir Kusturica in persona. A Trebinje. Come incontrà Benigni o Morricone a Fiano Romano. Nei Balcani, sua terra promessa. Come incontrà Maradona in Sud America o Bill Murray in Giappone.

Alla fine parlando gli abbiamo raccontato un po' il nostro viaggio, lui ci ha detto che è un appassoniato del leggendario Molise e ci ha detto che il suo prossimo film sarà ambientato nella fantastica terra del centro Italia. Si intitolerà: "Orso marsicano nero, orso marsicano bianco".

Quando gli abbiamo detto che la nostra successiva tappa sarebbe stata il Montenegro, ci ha avvertito: "Mi raccomando, l'antico vaso deve essere portato in salvo".

Lo faremo per te Emir!

Ci dirigiamo così nel minuscolo stato della regione. Arrivamo al Durmitor, grandissimo parco naturale punteggiato da decine di laghi e vette immacolate. Pare de sta in Svizzera.

L'accoglienza è balcanica però. Er pischello dell'ostello ce dice che la sera farà un barbecue per tutti gli ospiti. A gratis. Arrivata l'ora se mette davanti alla griglia co na parananza cor faccione de Walter White e la scritta "I love cooking". 

Dopo la cena non so per quale strano motivo c'avemo tutti l'occhi sparati, non c'avemo sonno e se volemo tutti bene. Io e Scuzzi conosciamo due pischelle rumeno-canadesi di origini armene che tentano di farci ubriacare a suon di rakia per abusare di noi.

Scuzzi colleziona anche un nuovo soprannome quando nel pieno delle bevute, annebbiato dai laghi d'alcool, sostituisce il suo classico accento dello Yorkshire co no sbiascicante inglese dei Castelli Romani, e una delle due ragazze prova a dirmi in un italiano storpiato: "Tu amico es Drunko". Drunko, rivisitazione romano-balcanica del Drugo coheniano. Un personaggio adatto per il film che sta girando il nostro amico Emir in Molise.

Il giorno dopo ci alziamo co na felpa de cemento sulla lingua e er cerchio in testa. Consigliati da chissà quale incubi decidiamo di prendere a nolo due mountain-bike e di goderci i bellissimi paesaggi de st'angolo de monno che pare Svizzera ma costa un quarto. Se famo consijà qualche itinerario da Walter White.

Partimo alla prima salita come due Nibali. Sudamo tutta la rakia del giorno prima. Portamo le bici a mano. Arrivamo in cima ar cucuzzulo e ci godiamo la discesa rinfrescante.
Ripassamo all'ostello dal nostro pusher di consigli preferito. A Heisenberg, tutto bello, quello che te pare ma mo dacce un itinerario più fattibile.

- Nve preoccupare, ve mando ar Lago dell'occhio der diavolo. Tutto in pianura. Vi sembrerà de sta in Scozia. Tutto piatto.

Lago dell'occhio der diavolo? Er nome nun promette bene.

Partimo, a metà strada ce viene un dubbio. Ma da quando la Scozia è piatta?

Dopo ncurvone della morte iniziano i saliscendi infernali, mancava solo che uscisse qualche contadino der posto cor kilt a rincorrece colla spada e gridandoce appresso: "Sporchi inglesi, lo sappiamo che Drunko da lucido parla come quelle merde secche sudditi della regina."

Che poi è pure risaputo oramai che il kilt è una tradizione scozzese inventata da un industriale inglese, come documenta dettagliatemente lo storico Hobsbawm nel primo capitolo del suo "L'invenzione della tradizione".

Quindi la scena de Braveheart coi kilt alzati al vento e i culi de fori è storicamente falsa. Come è falso che la Scozia  è piatta perché qua io e Scuzzi stamo a svenì.

Mortacci sua, de Walt Whitman e de Mel Gibson.

Lago dell'occhio der diavolo
Ma che Whalt Whitman, quello de Breaking Bad se chiama Walter White.

Arrivamo ar Lago dell'occhio der diavolo distrutti ma contenti. Tornati all'ostello non avemo er tempo de pensa' che se buttamo al letto. Breaking Bed. 

Se arzamo er giorno dopo coi pensieri confusi. Emir Kusturica? Orso marsicano? Molise? Scozia? Walter White? Sono tutte invenzioni della nostra mente? Era tutto un'allucinazione?

Vicino al nostro letto, una bottiglia di rakia vuota. Almeno l'antico vaso l'abbiamo portato in salvo.


venerdì 29 agosto 2014

Trebinje - Lasciate ogni speranza voi ch'intrate

Salutamo Dubrovnik e la Croazia e se ributtamo verso er centro. Direzione Trebinje, Repubblica Srpska, regione autonoma della Bosnia e Erzegovina. Alla stazione degli auto arriva un catorcio sgangherato che scoppietta come er sidecar ne Gli Aristogatti.
Più che n’autobus è un vano de qualche metro cubo collegato a quattro rote e pitturato alla volemose bene co npo’ de giallo e blu.

Arrivederci Europa. Er viaggio dura poco e noi arrivamo alla stazione de Trebinje freschi come du rose ma co qualche petalo in meno lasciato la sera prima in Croazia.
Più che a na stazione però qua stamo a no spiazzale, anfatti nce sta na bijetteria o un punto informazioni nell’arco de centro chilometri. Appiccicato all’entrata de sto spiazzale c’è sta solo un cartello cogli orari de tutti l’auti. Scritto coll’alfabeto cirillico. Fermamo ncoatto antico de sti pizzi e je chiedemo se è bosniaco e se ce po' aiutà. Primo errore, qua stamo nello stato della Bosnia e Erzegovina ma la regione è la Repubblica Srpska, a maggioranza serba e con uno statuto autonomo.
No! Sono serbo. Ce imbruttisce ma poi je viè da ride e ce aiuta a decifrà sti geroglifici balcanici. Ce indica cor dito, sbattendoce in faccia l’ascella da coatto antico che d’estate bazzica lo Zion, la città do dovemo annà pe pijà l’auto che poi ce porterà ner nord der Montenegro.

Hvala. Grazie zi se vedemo ar Pincio colla machina modificata quando torno a Roma.

Co Scuzzi se addentramo nella quieta cittadina de Trebinje. C’avemo n’indirizzo. Obala Mića Ljubibratića, ostello Harambaša. Su internet ce sta na descrizione de sto posto che pare er paradiso dei viaggiatori fiji de fiori co zaino in spalla. Ma er paradiso esiste pe davero? E st’ostello?

Iniziamo a chiede informazioni. La gente ce sballottà a destra e a sinistra finché non arrivamo a Obala Luke Vukalovića. Fuocherello. Capimo che Obala vordì lungofiume e qui essendocene solo uno de fiume non dovremmo sta lontani da sto paradiso. Ma ner paradiso ce stanno i fiumi?

Obala de qua, Obala de là. Sta Mica Ljubibratića nessuno sa ndo sta. Solo Luke Vukalovića conoscono. Er fuocherello inizia a scotta'. Non staremmo mica vicino all'inferno?

Tutti ce dicono: Obala è questa. Ma noi ne cercamo un'altra. Come se un bosniaco a Piazza de Spagna cercasse Piazza der Popolo e noi je dicessimo: questa è na Piazza!

Percorremo tutto er fiume. Uno che pare uscito dalla serie The Soprano ce consijà de guadà er fiume. Poesse che sta Mica Ljubibratića sta sull’altra sponda. Ma pe guadà sto fiume dovemo fa' lo slalom tra le alghe, fa' l’equilibristi su dei massi, combatte la corrente, schivà le risa dei presenti e sopportà er peso de du zaini a capoccia. Ao a dimonio con occhi di bragia, noi ar paradiso dei backpacker dovemo annà, qua ce stai a fa’ attraversa er fiume Acheronte!

Desistemo. Scegliemo er lungofiume come campobase. Acchittamo un bivacco e lasciamo i pesanti zaini. Er paradiso deve esse raggiunto a ogni costo. Scuzzi perlustrà le campagne e le paludi fino a che er fiume non diventa n’acquitrino. Torna perdente. Parto io. Tra palazzi co slogan serbi, turisti ignari, locali che manco sanno come se chiamano me imbarco in una scarpinata lungofiume alla ricerca de st’ostello. Dopo dieci minuti de camminata arrivo a nbaretto e je chiedo do se trova sta via.
Ce stai adesso, è questa. Me fa er padrone. Praticamente a sto paese solo chi abita o lavora a na via conosce er nome. Mo io non pretendo che ve chiamate tutti Google Mapsić ma mannaggia l’alfabeto cirillico, in tutta Trebinje sete ventimila abitanti e ce stanno solo du vie che se chiamano Obala, n’è difficile regà. Pure i Beatles c’hanno fatto la canzone. Obalì Obalà life goes on!

Ma n’è finita qui. La strada per il paradiso è ancora in salita. Questo sa come se chiama la via ma nun sa er numero civico. Dice che poesse che er numero che sto a cercà io sta più verso sinistra. Me imbarco. Nartri venti minuti in mezzo alla macchia. Supero anche er famoso ponte de Trebinje, meno famoso del suo cugino di Mostar. Alla fine arrivo a sta mezza catapecchia. Nce sta nessuno. De fori alla porta ce stanno na quindicina de cassette de cipolle. I vicini de casa me fanno capì in un serbo-bosniaco mimato che Nikola, er padrone dello stabile, se sta a fa’ er bagno ar fiume come Tom Sawyer. E che sicuramente non tornerà prima der tramonto. Bella la vita nella Repubblica autonoma der Missouri dei Balcani.

L’ostello, se così lo volemo chiamà, sembra deserto. Forse è vero: ner paradiso nce sta nessuno. Se uno vole npo’ de compagnia deve decide tra la calca dell’inferno e le villette bilocali der purgatorio. Torno da Scuzzi. So tre ore che stamo a scapoccià pe sta sistemazione. Decidemo de peccà. Pijamo na stanza doppia privata. A n’albergo. Tv via cavo, aria condizionata, bagno privato, lenzuola candide. Diciassette euro a capoccia. Vizio capitale der viaggiatore. Stamo nell’inferno der backpacker. Lasciate ogni speranza voi che intrate.

Noi lasciamo l’aria condizionata spenta e decidemo de concedese un riposo, nelle fiamme calde de st’albergo luciferino.
Cullati tra sti materassi peccaminosi riacquistiamo energie. Siamo pronti pe fa’ du passi.

Di lì a poco incontreremo in città un diavolo. Per la precisione un diavolo della cinepresa balcanica. E capiremo che in viaggio si è quasi sempre in paradiso, pure se er paradiso poesse che nun esiste…

lunedì 25 agosto 2014

Dubrovnik - Benvenuti a Approdo del Re (Game of Beds)

Ritornamo in Europa. Na parte d’Europa giovane. La Croazia, ultimo stato a entrare nell’Unione. Ma stavolta accarezzeremo le sue coste. Non più l’aria mitteleuropea de Zagabria né er profumo de piccante e de tranquillità della Slavonia. 

La frontiera ce ricorda, in scala minore, la mentalità della Fortezza Europea. Quella che per noi dovrebbe esse na casa comune pe altri è ore de attese, permessi, controlli e domande nella migliore delle ipotesi. Traversate e sofferenze nella peggiore.
Ce aspetta na fila interminabile de macchine, gente de fori in strada che ammazza il tempo fumando, pisciando, telefonando, imprecando tutte le stelle sulla bandiera a fondo blu.
Dopo n’estenuante attesa ar conducente dell’auto je parte la brocca e se fa l’ultimo chilometro contromano, nella corsia opposta deserta.

Passaporti prego. Ristamo in Europa. Ma non per molto, la geopolitica è quella scienza che fa prendere a pizze geografia e politica e quindi noi dovemo attraversà nuovamente uno sputo di terra bosniaca lungo la costa. Nartra frontiera e poi nuovamente le bandiere croate e europee. Bosnia, Croazia, Bosnia, Croazia: questo er tragitto che se dovemo sobbarcà.

Na pischella spagnola piagne. A causa de sto labirinto ha perso l’aereo, viene da npellegrinaggio a Medjugorje. Poesse ha chiesto nmiracolo sbajato, Ryan Air già è tanto se sta a ascoltà er cliente figuramose se se po’ accolla pure la Madonna de Medjugorje.
Finalmente vediamo da lontano Dubrovnik. Ragusa di Dalmazia, come è chiamata in italiano. Npo’ se sentimo a casa anche se stamo in viaggio.

Da Altai di Wu Ming: “…Ragusa, Dobro Venedik, la Venezia Buona, come la chiamavano i turchi storpiando il nome slavo, per distinguerla dalla Venezia Cattiva , dall’altra parte del mare. Porto franco, né Oriente né Occidente, città di mezzo dove prima o poi tutti attraccavano, chi in cerca di riparo dal maltempo, chi a caccia di buoni affari, chi inseguito dal proprio destino”.

Alla stazione degli auto: er macello. Er monno intero pare abbia deciso de esse inseguito dar proprio destino in questa incantevole città de mare. Comitive de locali ce assalgono pe na camera libera. Gente buttata pe terra cogli zainoni. Addii e arrivi.

Arcuni manco scendono dall’auto che già vanno alla bijetteria pe pijà er bijetto der prossimo spostamento. Sacrilegio der viaggiatore. E se per caso uno dovesse conosce na coreana gran bona che ce fai poi cor bijetto, te lo dai in faccia?
Paranoie da alta stagione. Se uno se vole dirige in Montenegro deve prenotà, tutto er monno riscende la costa e voi volete rimane appiedati?

Aprimo la cartina, vedemo se riuscimo a circumnavigà er Montenegro e entracce dall’interno. Spizzamo un autobus sgangherato che sta per partire, direzione Trebijne. Repubblica Sprska, regione autonoma facente parte della Bosnia i Herzegovina. Decidemo che sarà la nostra prossima tappa.

Nei giorni precedenti c’erano arrivate notizie tremende sui prezzi per il pernottamento a Ragusa di Dalmazia. Il nostro amico Lotti  aveva trovato un letto in camerata da ventidue persone con un solo bagno per diciannove euri. Colazione non compresa ma almeno uno se poteva fa a gratis le partite regolamentari undici contro undici nello stanzone. Nartro signore che avevamo conosciuto a Mostar si era fatto prendere dal panico e aveva prenotato una singola su internet per sessanta euri.
A noi ce dice bene. C’è giunta la notizia che n’amico nostro se sta a fa nviaggio in Croazia colla macchina. Lo intercettamo e co sto privilegio de movimento riuscimo a trovà na casa de du piani npo’ fori dar centro, davanti ar mare. Pe pochissime kune.

Grazie all’automobile scappiamo anche dar caos costiero cittadino e er giorno seguente ci dirigiamo a Cavtat, tranquilla località frequentata da tedeschi e olandesi in station wagon. Che a questi je se po’ rinfaccia tutto ma mai discute co olandesi e tedeschi de località de mare gajarde, soprattutto se viaggiano in station wagon. Poesse perché loro so abituati a vedello cor binocolo er mare.

Ritornando verso Dubrovnik, nei pressi di un belvedere, abbiamo una visione. La città croata è stata utilizzata per le riprese di Game of Thrones, indossando le vesti di Approdo del Re, città capitale dei Sette Regni. Che poi qualcuno me deve spiegà che nome de merda è Approdo del Re pe na città. Anche se in realtà nella versione originale inglese se chiama King's Landing che spacca npo' de più. A sto punto non potevano chiamalla nella versione italiana direttamente Ragusa di Dalmazia?
Che poi per la difficoltà co cui se trova nposto letto ce dovevano girà Game of Beds altro che Game of Thrones. 



Famosissimo, inoltre, l’episodio dell’assedio, che conclude la seconda stagione della serie in cui il comandante dell’esercito nemico scaglia le sue truppe contro Dubrovnik al grido: "Mortacci vostri na margherita e na bira quindici euri, ho dovuto pure dormì pe strada l’anno scorso in vacanza che nse trovava nposto letto a meno de mezza piotta! La pagherete caro, mo ve spanzamo.”


Ma alla fine gli assedianti scajano e quelli de Dubrovnik invece che esse spanzati possono continuà a spellà i turisti come je pare.

E noi pe non finì spanzati o spellati decidemo de approdà nuovamente in Bosnia, a na città dar nome impronunciabile, ma sempre mejo de quer nome de merda de Approdo del Re.

venerdì 22 agosto 2014

Storming Sarajevo e pure Mostar

Dormimo poco ma abbiamo un ottimo risvejo. Il nostro amico Lotti che sta facendo un anacronistico inter-rail in mezza Europa alla ricerca di campi da golf è arrivato a Sarajevo e s’è portato con sé tre romane carucce e gajarde. Le due spagnole più belle della penisola iberica se stanno a fa’ un caffè in cucina. Na comitiva de serbi in trasferta se sta a beve la vodka de prima mattina.La capa roscia dell’ostello ha invitato le sua amiche a prendere il tè e a mangià dolcetti. Ce trattano come fiji.

Una de queste pare Crudelia Demon: sguardo perso nel vuoto, aspira profondamente la sigaretta e spara frasi brevi in bosniaco sputandoce il fumo in faccia. Una delle signore traduce nella lingua di Dante: questa vole trovà un marito italiano, ce dice a noi se c’avemo qualche contatto bono. Qualche zio de secondo grado che la coccoli in vecchiaia, che accudisca la carica dei centouno, che tra l’altro è un cartone che fa mezzo cacà. 

Noi svagamo e se annamo a fa un giro nella capitale bosniaca.

Sintesi della storia dei balcani e non solo: qualche chiesa, svariate moschee, npaio de sinagoghe, un’ambasciata americana che è grande quanto tutto er Connecticut, palazzi ancora sventrati dai bombardamenti della guerra, targhe commemorative, una biblioteca centrale ricostruita dopo un attacco armato dei paramilitari serbi, un centro storico affollatissimo, negozietti per turisti co cianfrusaglie cinesi, souvenir che ricordano er conflitto, majette de Tito, fast food, cosce de fori, donne velate, odore de cevapci e de narghilè, panzoni statunitensi, occhi a mandorla coreani, slavati nordici, canti der muezzin e flash delle macchinette fotografiche. Er posto più a oriente in occidente. Rumiz ha scritto: "In Europa l'Oriente non c'è più, l'hanno bombardato a Sarajevo, espulso dal nostro immaginario, poi l'hanno rimpiazzato con un freddo monosillabo astronomico: “Est”. Ma l'Oriente era un portale che schiudeva mondi nuovi, l'Est è un reticolato che esclude."

Intanto passano tre giorni e noi lasciamo Sarajevo alle nostre spalle e se imbarcamo verso Mostar, città col ponte simbolo, ricostruito dopo che era stato fatto saltare in aria dai croati per motivi strategici durante la guerra. Persone, monumenti o istituzioni, i conflitti non fanno differenze. Dal minareto della moschea di Aleppo ai Buddha di Bamiyan, dalla città di Dresda agli ospedali di Gaza, gli uomini creano e gli uomini distruggono.

Ner mentre ci hanno raggiunte due amiche di amici di Roma. Una delle ragazze ha rimediato il macchinone aziendale der padre. Guidamo fino a Mostar. Loro due se mettono davanti e io e Scuzzi de dietro. Ner traffico cittadino e ai semafori attiramo l’invidia de tutta la Bosnia. Scarozzati cor machinone da du pischelle, spaparanzati sui sedili posteriori senza move ndito. Due pashà.
Durante un periodo di "cessate il fuoco" a metà degli anni novanta na combriccola de pioneri della musica rave in Europa ha raggiunto una Sarajevo stremata da tre anni di assedio con un furgoncino mezzo sgangherato portando musica tekno e medicinali. Storming Sarajevo. Noi se n’annamo co na Bmw tirata a lucido e con cd de Jovanotti in macchina.


La capa roscia dell’ostello de Sarajevo ce consija nposto do dormi a Mostar, dije che te manno io.

Arrivamo alle sette de sera. Ce apre Mago Merlino dell'ulitima scena de La spada della roccia coi bermuda e na camicia sgargiante. 
Ce manna la roscia. 
A roscia chi? Venite qua, metteteve seduti, benvenuti.
Almeno così capimo perché questo spiccica a malapena du parole de inglese ma parla benissimo tedesco.
Intanto se cambia tre camicie in dieci minuti, tutte sgargianti e de colori diversi. Chiama er padrone dell'ostello che scende co na boccia de rakia fatta in casa.
Famo er barbecue stasera, ce state?
Manco c'avemo er tempo de risponne che Merlino vola verso Honolulu a comprà la carne co la più bella delle sue camicie a fiori.
Manco semo arrivati e già stamo a magnà e beve. Le valigie stanno ancora nel giardino dell’ostello. Le camere neanche l’avemo viste. Ma come se fa a rifiutà tanta ospitalità e gentilezza?

Nella caciara totale Mago Merlino ce chiede se parlamo tedesco. Io je dico ein bisschen dove ein bisschen vordì cose basilari: ciao, come stai? Bene, io sono, io mi chiamo, io vado, bello, grande, piccolo, caldo, freddo, sette birre grazie. 

Errore madornale. Questo pe tre giorni e pe tre notti ce parlerà a me e a Scuzzi in tedesco stretto della Bavaria. Pretendendo che noi traduciamo quello che ce dice agli altri ospiti dell’ostello. Io e Scuzzi se inventamo tutto. Giocamo de fantasia.

Ngiorno annamo a fa na gita alle cascate di Kravice, posto stupendo pieno de pellegrini diretti a Medjugorje. Crocifissi e tatuaggi cristiani dappertutto. Ce sta pure na comitiva de sauditi in gita. Le ragazze iper bardate col burqa fanno conoscenza colle signorotte de mezzà età calabresi e pugliesi. Diventano tutti amici. Foto de gruppo cor costume intero e le tettone che sporgono de fori e occhi arabi che sorridono dall’unica fessura aperta del velo.
A na certa un prete esegue il rito del battesimo nelle fredde acque delle cascate. Sembra di assistere alla scena di Brother where art thou? dove la gente scende al fiume per pregare cantando down to the river to pray.

Tornamo a Mostar, città affascinante ma che si può visitare tranquillamente con un paio d’ore. Noi rimanemo tre notti e quattro giorni. L’ostello è na totale presa a bene. Giocamo alla play coi fiji der proprietario, che ce fa da magnà a gratis. Giocamo a scacchi cogli altri ospiti. Pijamo le sveje a scacchi e alla play. Famo compagnia ar cane che se chiama Mourinho che come er Mourinho vero sta sempre a brontolà. Famo finta de parlà in tedesco co Mago Merlino che ce riempe de caffè e de birre.

A noi ce fa sempre er caffè mentre costringe un coreano a magnasse le ciliegie. E je porta sempre sto piattino pieno de ciliegie perché Mago Merlino è convinto che sto coreano sia giapponese e allora je dice tutto er giorno arigatò e je dà ste ciliegie perché lui dice che er ciliegio è n’albero sacro in Giappone e mentre je dà sto piattino congiunge le mani a mò de preghiera davanti ar petto e je fa ar coreano: arigatò. E er coreano dopo tre giorni se convince de esse giapponese e mo che torna a Seoul se tatua un ciliegio in petto.
Come dice un vecchio detto giapponese: tra gli alberi il ciliego; tra gli uomini il guerriero (fonte: Bushido di Inazo Nitobe).
L'ultima sera conosco na super coreana che è n'incrocio de bontà tra la coreana de Lost e Lucy Liu. Questa, che dopo du ore de ostello se sente pure lei giapponese, è partita da casa sua e è arrivata in Bosnia senza pijà mai n'aereo. Ha preso er primo traghetto pe Vladivostok e poi via cor treno attraversando tutta la Russia fino ai Balcani.

E io che sto a fa er coatto che poesse arrivo nel Caucaso. Questa ce fa colazione cor viaggio che sto a fa' io.

La coreana me da' alla testa, divento scemo, cerco de non innamoramme pure stavolta. Er bijetto per una breva capatina in Croazia già ce l'avemo in tasca. Errore da principianti.
Stordito inizio a dire cose senza senso tipo l'importante non è la meta ma il viaggio e a scrive fregnacce sur taccuino der tipo: tra le donne le viaggiatrici; tra le viaggiatrici le coreane.
La sveja suona presto all'indomani. Salutiamo Mago Merlino quasi emozionati. Ritorniamo per un paio di giorni in Europa. La costa ci aspetta, sarà Dubrovnik la prescelta per donarci il benvenuto.





venerdì 15 agosto 2014

Verso Sarajevo - Grumvalski è morto de freddo

Na sera a Belgrado conoscemo na ragazza a npub che ce dà un po' de dritte. Noi je dimo che saremmo voluti annà a Novi Pazar, città del sud della Serbia a maggioranza musulmana, riconquistata a danno dei turchi solamente nel 1912.
No nc'annate, là so' diversi, c'hanno le barbe, nce sta vita la sera.
Sembra che la guerra abbia lasciato ste tere balcaniche ma alcuni pregiudizi rimangono forti, a volte, come in altre parti der monno. 

Ma noi nsemo venuti solo a vedè capitali, nsemo venuti a vedè solo le bionde, nsemo venuti solo a beve o a divertisse:  a Novi Pazar ce volemo annà. E stamo pure fomentati.
Già solo pija l'auto è n'esperienza, come accade spesso da ste parti. Semo l'unici stranieri a bordo e la gente ce soride e ce continua a parlà ininterrottamente in serbo. A stecca. Noi replicamo coi sorrisi. No colla lingua serba.
L'auto fa pausa in un paesino sperduto in cui l'unica attrazione sembra esse na bettola. Tutti ce guardano e noi nsapemo che fa. A na certa vedemo attaccata ar muro na foto della Stella Rossa di Belgrado che vinse la Coppa dei Campioni nel 1990/91. Come sempre er calcio ce viene in aiuto. Almeno tre parole che non siano bira e grazie le potemo usà. E ste tre parole so': Jugović Savićević e Mihajlović.

Ripartimo e dopo n'oretta arrivamo alla stazione degli auto de Novi Pazar. Chiedemo gli orari pe annà a Sarajevo, nostra prossima tappa. Ovviamente l'addetto non parla manco na parola de inglese ma ce se avvicina ntipo losco in bicicletta pe dacce na mano. Er sosia de Vincent Cassel in L'Odio. Parla pure francese questo.
Poesse che è lui pe davero. Poesse che dopo che s'è accannato co quella fregna della Bellucci s'è trasferito sotto copertura qua do' la maggior parte delle donne so velate. Perché immagino che dopo esse stati co la Bellucci uno nvoja più vede na scollatura in vita sua.
Comunque grazie ar mio francese de la rue riuscimo a capì gli orari pe Sarajevo. Abbiamo due possibilità: notturno e arrivo a Sarajevo alle cinque del mattino o giornaliero e arrivo nel pomeriggio.
Ce penseremo. Intanto annamose a fa' sto giretto pe Novi Pazar.

Vincent Cassel ce segue a distanza ravvicinata colla bici. Ce imbruttisce. Poi tira dritto. Se ferma a comprà le sigarette. Aspetta che lo superiamo a piedi. Ce riviene appresso. Ce risupera. Ritorna indietro. Ce pija le misure.
Ma che vole questo? Ma che voi morì de freddo come Grumvalski? 
A na certa ce risupera, ghignando, co no scatto de reni degno der mejo Virenque e scompare. Pe sempre.

Noi continuamo a girà. Sentimo er canto der muezzin provenì dalle svariate moschee cittadine. Pe Scuzzi è la prima volta in vita sua. Io ero da più de du' anni che non sentivo sta cantilena. Dar mio soggiorno arabesco in Giordania. Fatto sta che è sempre n'esperienza sensoriale da pelle d'oca. I Balcani ce stanno a regalà contraddizioni, sorrisi e momenti unici.
Continuamo a mescolà sto melting pot e se famo caricà da ntassista musulmano. Noi: du' atei indecisi. E tutti e tre annamo al monastero di Sopoćani, centro religioso ortodosso e unico sito protetto dall'Unesco in tutta la Serbia.

Riscendeno in città ce rilassiamo un po'. Se sedemo nella piazzetta in fronte allo stranissimo Hotel Vrbak che per la Lonely Planet è il più grandioso hotel dell'ex Iugoslavia. N'incrocio tra lo stile classico della Casilina e dell'imbriacatura architettonica slava.

Davanti a sto paesaggio surreale siamo anche spettatori di un matrimonio locale co musica classica caciarona balcanica. 

Cullati da sta melodia prendemo la fatidica decisione: annamo cor notturno. Scuzzi non è tanto convinto. In effetti arrivà alle cinque de matina alla stazione dell'auto de Sarajevo non credo stia tra le cento cose da fa' prima de schiattà. Ma fino a mo avemo fatto tutti spostamenti brevi, manco un notturno pe attutì le spese: trasporto e dormita.

Semo ancora l'unici turisti a bordo tranne na famigliola mezza belga mezza bosniaca. Che poi famija è nparolone. Praticamente ce sta er padre co cinque fiji, er più piccolo nc'avrà manco n'anno e er più grande al massimo cinque. Na caciara mai vista. In più nell'auto vojono tutti l'aria condizionata a manetta. Pare de sta in Alaska. Non moriremo de freddo come Grumvalski ma se stamo a cacà sotto dar freddo come Grumvalski.

Arrivamo ar confine e sale la guardia bosniaca. Gentilissima. Eccezione in quer monno a parte che è er monno delle guardie de frontiera. Tutti che ringhiano, tutti che te squadrano e te che te cachi sotto come Grumvalski.
Ce augura addirittura un buon viaggio e una buona permanenza in Bosnia. Se riaddorementamo come polaretti e dopo npo' aprimo l'occhi che stamo già a Sarajevo. Alle cinque de matina.
Se dovemo cacà sotto come Grumvalski? Manco pe niente. La stazione centrale de Sarajevo alle cinque de matina è tranquillisima, se pensamo a Termini ar confronto qua pare che stamo alla stazione centrale de Zurigo.
Ma io dico: manco ntossico a chiedece na sigaretta? Na delusione: tutto tranquillo. E Scuzzi che stava co mille paranoie.

Camminamo verso il centro. Quattro chilometri col sole che spunta da dietro le colline che proteggono la città. Passamo varie insegne de ostelli ma decidiamo di entrare in uno abbastanza centrale. So' le sei de mattina. La reception è aperta 24 su 24. Ce danno du' letti. Er pischello ce dice de non fa' caciara perché la gente sta a dormì ma mentre ce avverte lui stesso fa na caciara assurda e sveja tutti e poi ce fa' a noi shhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh.
Svagamo. Er letto è nmiraggio. Famo un carpiato e s'addormentamo. Er giorno dopo c'aspetterà na città da sogno. Semo partiti che se stavamo a cacà sotto come Grumvalski e s'accasciamo con sorriso mai visto.



lunedì 11 agosto 2014

Belgrado - Dovrei restà o dovrei annà

Belgrado è il mondo. Dicevano. E c'avevano ragione. È er monno pell'energia che emana. Architettonicamente se deve di' che è npo' nguazzabujo. Ma pure er monno è nguazzabujo.

Una delle maggiori attrattive turistiche è sta cittadella fortificata che s'affaccia sul Danubio e sul Sava. Sti serbi c'hanno pure costruito, dentro i fossati della struttura e lungo er perimetro, dei campi da tennis. Come se noi facessimo la stessa cosa a Castel Sant'Angelo.
Forse pe questo che Roma è Roma e Belgrado è Belgrado e che loro c'hanno Djokovic e noi quer farlocco de Fognini.

Nartro posto gajardo da vede' e er quartiere Skardaska, da molti considerato er Montematre de Belgrado.

L'aria parigina se respira grazie a sta strada ciottolata e grazie ai ristorantini tipici che de tipico c'hanno che nun te poi  magnà niente npace perché ce sta na banda de musica tradizionale balcanica che te s'accolla a ogni portata.

Er tutto condito da artri piccoli particolari fricchettoni tipo lo stencil de Amelie e ncartello fricchettone colle indicazioni pe mezzo mondo tipo: Amsterdam 2000 km dellà; Città der Messico 15000 km deqquà; Bombay 19000 km deggiù; Campobasso tutte le direzioni, Katmandu ndo ve pare; Quartiere Monti co du pedalate nbici comprata ar mercatino dell'usato arrivate giusto in tempo pell'apericena.

Poi però se fermi quarcuno pe chiedeje ndo sta na chiesa de Belgrado nessuno sa ncazzo. Rischio che te mannano a na boulangerie de Parigi a compratte le baguette da mettete sotto le ascelle.

All'ostello nvece stamo a na zona vissuta. Visto che Belgrado è er monno noi non se famo parlà dietro e semo: du italiani, ngreco, ncipriota, na russa, n'americana, qualche sloveno, nolandese, nfrancese, nargentino, na rumena, nirlandese der nord, uno che nun parla e nturco che ha fatto l'Erasmus a Cosenza. Kusturica ce potrebbe scritturà pen film diretto da lui: l'ostello serbo.

Er greco pare ncoatto ripulito dr Roma: ce prova co tutte e s'accolla fino allo sfinimento.
Er cipriota sta a aspettà che je diano er visto pe annà in India a fa' yoga. Però ns'è capito perché questo sta a fa la muffa a Belgrado a aspettà sto visto nvece che a Cipro.
La russa è na seguace de Putin e co pugno duro costringe tutta la stanza a dormì coll'aria condizionata a manetta. Pe tre notti pare de sta a San Pietroburgo.

L'argentino se sta a girà mezza Europa. Ma va a dumila. Se sposta solo coll'aerei. È annato a Parigi, è stato solo ngiorno, s'è fatto la foto colla Tour Eiffel e bang è volato subito a Zurigo.
Alla russa che je diceva che a San Pietroburgo minimo na settimana ce vole pe vedella bene lui j'ha risposto che na notte è pure tanto.

La rumena, invece, zompetta. Questa cammina e zompetta, parla e zompetta. Donna carpazia dalla stazza poco di grazia è venuta a Belgrado pe na cosa de queste europee de mezzo volontariato. A spese dell'Unione: tutto rimborsato. Pure li zompetti.
Questa so' anni che fa così. S'è girata mezza Europa a spese dell'Europa. Zompettando. Volontariando. Donna dar grande core e dalla grande stazza. E pure mezza paracula.

A na certa cerca de convince pure noi a entrà ner magnifico mondo dello zompetto e manda avanti come ambasciatore nitaliano. Je chiedemo a questo che sta a fa' a Belgrado e quarche dettaglio dello zompetto ma questo nsa niente e manco zompetta. Scrocca e basta.

Er turco che ha fatto l'Eramus a Cosenza lo capimo mejo quanno parla turco che quanno ciancica l'italiano. Alla fine a noi romani farlocchi ce risulta più facile na lingua agglutinante  come er turco che na lingua andujante come er calabrese.

Na sera decidemo de annà a ste famose serate sur Danubio, su na barca. È mercoledì: piove. Poca gente in giro. Arrivamo fori a sta barca do' ce sta ngruppo de svizzeri scettici che vole annà a casa. Li convincemo a entrà promettendoje de rispettà la loro neutralità e er segreto bancario.

La festa ha inizio. Solo che er dj nce sta. Na playlist dar computer svorge er lavoro de selezione. A na certa er turco sale sul palchetto e cambia canzone. Sale nserbo e ricambia la canzone. Sale er greco e mette na coattata de sti artisti coatti tipo Shakira, Black Eyed Peace, Pupo. E la russa e l'americana che fino a quer momento se guardavano in cagnesco e stavano ferme imbambolate se mettono a ballà scatenate.


Cinquant'anni de guera fredda cancellati da na canzone de merda.

A na certa er padrone der locale fa mette alla gente pure le canzoni da youtube. Er panico. Ce stanno più persone a sgomità dietro ar computer che in pista. A na certa ner trambusto generale na canzona sona pure tre volte: Should i stay or should i go dei The Clash.

A fine serata tornamo a casa zigzagando. Er giorno dopo io vado a Novi Sad (l'aneddoto e la foto della gentilissima signora serba se trovano sulla pagina Fb) e Scuzzi rimane a discute de geopolitica colla nipote de Putin e co lo zio de Erdoğan.

La sera uscimo, insieme a na combriccola ristretta dell'ostello, co n'amica de amici de Roma.
Lei è de Belgrado: gentile e carina. Ma fa l'errore de portasse nartra amica appresso: bellissima, attraentissima, elegantissima e svariati altri -issima. Inoltre è pure n'economista anticapitalista coi parenti tifosissimi della Stella Rossa de Belgrado. Io e Scuzzi pendiamo dalle sue labbra. 
Questa ha pure vissuto a Barcellona e io faccio lo smargiasso cor mio catalano de strada ma a questa je rimbarza.

Fortuna vole che ste due se ne devono annà presto che er giorno seguente devono lavorà altrimenti io e Scuzzi saremmo rimasti nartra settimana a Belgrado pe comprasse tuta, sciarpa, e cappelletto della Stella Rossa pe annà a chiede la mano della giovane donzella ar nonno. Già se stavamo a studià le citazioni da Il capitale de Marx pe fa' i belli e fa' colpo su de lei.

Belgrado è il mondo ma noi dobbiamo andare. Anche se ndubbio ce rimarrà pe molti giorni a venire. E sto dubbio c'avrà er ritmo de na canzone : Should i stay or should i go.

Annamo va. Er monno che non è Belgrado c'aspetta.







domenica 3 agosto 2014

Croazia - Ma ndo annate?!

La prima tappa in Croazia è Zagabria. Io già c'ero passato nel 2007 quando girai parte dell'est europa. Come tappa intermedia va più che bene. Una notte pe recupera' gli "sforzi" sloveni. 

A Zagabria in quel famoso 2007 avevo conosciuto una tecnica di viaggio arcaica: la caciara da ostello. Ce stava sta comitiva che festeggiava er compleanno de uno dei componenti con bottije de bira, vino e amaro. Classici momenti de giovialità nei viaggi nel nostro continente. Due giorni dopo il ribeccai a Lubiana e stavano festeggiando nuovamente lo stesso compleanno. Il trucco: era tutta na scusa pe beve e fa' diverti' la gente. Tutto a spese loro, pure le candeline e i palloncini.

Stavolta co Scuzzi sarà na tappa de riposo, niente estenuanti scalate per conquistare la maja gialla der giro dei Balcani. Zagabria è una città traquilla, dal sapore mitteleuropeo. Probabilmente la sua vitalità non rende in questo periodo estivo, ma potrebbe essere n'alternativa meta di studio/erasmus fori dai classici circuiti.
Er giorno dopo partimo. Se tutti vanno sulla costa noi annamo ancora de più all'interno. Non semo venuti a vede' solamente capitali o mete turistiche. Volemo un po' de sorpresa. Andiamo in Slavonia, che nun è la Slovenia che a sua volta nun è la Slovacchia. Croazia interna, sulla via pe la Serbia.

Famo la fila al botteghino della stazione. Se avvicina ncroato: ma ndo annate? No no qua, international trains dall'altra parte. Ma chi t'ha detto che volemo fa' l'international noi? Insiste. Ao ma la sapremo ndo volemo anna'.
La cassiera, co gli occhi quasi sgranati, ce fa: ma ndo annate? Osijek? Sì, annamo là, pure se nun sapemo come se pronuncia e che ce sta de preciso.

La Lonely Planet dice che la Slavonia è na zona famosa per il cibo piccante e er primo ristorante che consiglia è er cinese. Li pagano pure a questi pe scrive le guide. Mo, fricchettonilonelyplanetcollacravatta, ve pensate veramente che noi annamo fino nelle campagne sperdute croate pe magna' i ravioli ar vapore de Shanghai?
Sarebbe npo' come anna' a studia' er corno francese a Lubiana. La guida dice pure che visto er poco numero dei turisti, visita' la regione è dispendioso. Vedremo che è nartra cazzata!
Na cosa sulla guida è vera; la gente der posto dice che: "le montagne più alte da ste parti so' i cavoli" e noi in mezzo a sto paesaggio piatto se sentiremo giganti cogli zaini.

Pijamo er treno. Chiedemo ar controllore se bisogna timbra'. Nce fa' fine la frase che ce ammonisce: Budapest, Budapest, first vagon.
No non annamo a Budapest, noi annamo a Osijek. Ma ndo annate? Osijek? Allora ultimi vagoni, dopo, er treno se divide e la testa va in Ungheria.
Salimo sopra. Io e Scuzzi semo l'unici turisti. La gente ce ferma ner convoglio. Ma ndo anante? wrong, wrong, Budapest the other way. Ao noi annamo a Osijek! Mo se lo stampano in faccia, a Budapest a fa' i fricchettoni allo Sziget annatece voi!
Nun me pare manco che c'avemo la faccia da magiari. Anche se a me l'anno scorso un benzinaro de Zante dopo che j'avevo chiesto de metteme cinque euri in un greco traballante me fece: "Are from Hungary?". Probabilmente come secondo lavoro faceva l'imbriacone de uzu.

Er treno sferraglia. L'odore dei binari me inebria. Sarà forse colpa de mi padre che era ferroviere o de mi zio che me regalò er libro de Ettore Mo "Treni" o sarà forse colpa der primo inter-rail che me feci pe cinquanta giorni, a diciottanni, a zonzo per il centro e nord europea ma a me i binari me fanno salì sempre l'adrenalina.
Passamo attraverso stazioni dai nomi impronunciabili. Qui, nell'ex Jugoslavia, l'unica dittatura che 
è rimasta è quella delle consonanti. Le vocali porelle se le so scordate ner dimenticatoio. Represse, a cuccia. "Piazza" per esempio se dice "Trg", n'è n'abbreviazione. Trieste è "Trst". Nsibilo. 

Ce accompagnano scene de artri tempi. A ogni fermata esce er capostazione. controlla, fischia, spaletta, la gente esce e attraversa i binari, le banchine sono praticamente inesistenti. Er beretto rosso ricontrolla, rifischia, rispaletta e er treno riparte. Nelle piccole stazioni italiane non me ricordo de ave mai visto un capostazione. A Frascati armeno nun ce sta. Qua pure se intorno non ce sta niente so armeno due/tre che comannano, gesticolano e emettono sequenze consonantiche infinite.

Arrivamo a Osijek, città desiderata. Ad attenderci invece der classico cartello di benvenuto, una scritta: "Qua nun stamo a Budapest".

La gente ce guarda divertita. Du turisti, quattro zainoni, scene rare da ste parti. Tutti ce sorridono. Noi semo diretti ar quartiere settecentesco: la Tvrđa. Camminando vediamo ancora i segni della guerra, evidenti su alcuni palazzi decadenti.

Raggiungiamo un ostello. La Lonely Planet se sbajava. Nletto costa intorno ai 13 euri. Unica cosa: nell'ostello ce stamo solo noi. A na certa la padrona ce dice: "guardate che se volete ce sta nartro ostello più lontano" e ce da' er depliant. 
Scuzzi profetizza: questa ce sta a avvertì, sto posto é come l'ostello der firm Hostel, mo ce fanno ar sugo.
Ma de che! Quello stava in Slovacchia, che nun è la Slovenia che nun è la Slovania. Rimanemo. 



A na certa arriva na bona fracica che capimo esse la fija della proprietaria. Sbuffa perché semo arrivati noi e lei si vede costretta a leva' da mezzo le cose de sua proprietà. Se rinasce er regno de Croazia sicuro a questa la fanno regina pe quanto è bona e pe quanto c'ha la puzza sotto ar naso.

Altra particolarità dell'ostello: sta dentro a npub. La reception é er bancone del locale, le camere stanno ar piano superiore. Ce sta nproblema: é lunedì, er pub é chiuso. Noi c'avemo le chiavi dello stabile. Praticamente semo i padroni der monno. C'avemo a disposizione n'ostello tutto pe noi e npub co varie bottije de superalcolici in bella vista sur bancone. Nessun'altro in giro. Ma stavolta semo clementi: non toccamo manco na goccia de alcol. Er karma ce ripagherà in un'artra occasione.

In tutta la città semo solo io, Scuzzi e gli slavoni. Na ficata. Annamo a magna' slavone.

Er pischelletto che serve ai tavoli parla n'ottimo inglese e emozionato ce prende l'ordinazione, accompagnandola co tutti i tic dei balcani messi insieme: balbuzie, spalletta ondulante, doppio passo, sorriso contagioso, accollo ripetuto. Probabilmente era uno dei primi giorni de lavoro. Esageramo cogli ordini. Ma qua so' onesti e ce portano meno robba de quella che ordinamo perché sanno che non potemo magnasse tutto quello che avemo chiesto.

Na porzione de zuppa locale, piccante come na pietanza orientale, vale pe quattro persone. Pagamo poche corone e se n'annamo contenti, abbracciandoci col cameriere e piegati in due dal cibo. Stamo strapieni.
La notte, per il piccante, c'avemo l'incubi. Scuzzi se sogna che lo stanno a sgozza' a Osijek nell'ostello mentre cerca de urla': Slovacchia era Slovacchia, no Slavonia! E poi noi dovevamo anna' a Budapest. Io me sogno Rocco Papaleo.
Ufffff. Tutto un sogno pe fortuna. Ce riprendiamo e siamo pronti per partire. Direzione Serbia. Slovenia e Croazia le lasciamo alle nostre spalle, diretti a meridione e a oriente. Du' parole bellissime, du' direzioni dell'anima.

Chiudo co na citazione "storica" da Point Lenana di Wu Ming 1 e Santachiara, libro che sto leggendo in questo momento scroccandolo dall'e-reader del saggio Scuzzi (attenzione la frase è al presente, ma si parla di situazioni passate) :

" Presso gli italiani della venezia Giulia, sloveni e croati sono chiamati spregiativamente i s'ciavi, gli schiavi. La parola slavi deriva dal latino medioevale sclavi e nei dialetti veneti dell'Adriatico Orientale il cerchio, si chiude, anzi, non si è mai aperto, perché gli slavi xe sempre stadi servi, sono inferiori. Il vocabolo s'ciavi contiene e rivendica secoli di dominio della latinità, dall'imperium di Bisanzio alle colonie veneziane in Istria e Dalmazia.
Anche a Trieste si parla un dialetto veneto, questa lingua aspra che udiamo per le vie, fatta di vocali aperte e suoni duri, meno cantilenata di certe sue cugine. Sentite? La parola con la esse è ovunque, come spinta dal vento che soffia, ssssssssssss.....Ssssht, 'scolta: te senti? I sssssssss'ciaaaaviiiiii.
Da s'ciavo deriva anche il saluto ciao; "S'ciavo vostro!" si diceva a Venezia, come a dire: al vostro servizio, a disposizione. E può sembrare ironico che ciao lo usino pure....i s'ciavi: Čau dicono gli sloveni; Ћao dicono serbi e crotai."

Ciao allora. Ciao rega'. Ntempo potevate esse considerati pure schiavi. Io mo ve considero gajardi. Ciao.